Con la legge 179/2017 il legislatore ha introdotto il cosiddetto whistleblowing, ovvero la segnalazione da parte di lavoratori dipendenti di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza per ragioni di lavoro.

La citata normativa, che ha modificato l’articolo 54 bis del Testo Unico del Pubblico Impiego, ha notevolmente rafforzato le tutele anti ritorsione a favore degli autori delle segnalazioni al fine di favorire ed incentivare l’emersione delle condotte illecite. E’ stato infatti previsto che il dipendente che, in buone fede, segnala al responsabile della prevenzione della corruzione, ovvero all’ANAC, o denuncia all’autorità giudiziaria ordinaria o a quella contabile, condotte illecite di cui è venuto a conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro, non possa subire effetti negativi sulle condizioni di lavoro per motivi collegati direttamente o indirettamente alla denuncia.

Accertata l’applicazione, da parte del datore di lavoro, di una misura ritorsiva, la conseguenza sarà pertanto la nullità dell’atto discriminatorio posto in essere nei confronti del lavoratore segnalante con conseguente reintegro nel posto di lavoro in caso di licenziamento e la nullità di altri provvedimenti eventualmente adottati in conseguenza della segnalazione, come ad esempio sanzioni disciplinari, mutamento delle mansioni o trasferimento del dipendente segnalante in un’altra sede di lavoro.

Il divieto di porre in essere misure ritorsive è peraltro rafforzato anche sul piano processuale dalla previsione dell’inversione dell’onere della prova.

In caso di controversia sarà infatti il datore di lavoro a dover dimostrare che le misure adottate nei confronti del lavoratore segnalante siano fondate su ragioni diverse dalla segnalazione.

Si tratta indubbiamente di una importante tutela!

Il whistleblower potrà infatti semplicemente affermare di avere effettuato una segnalazione e di essere stato destinatario di una misura ritorsiva, senza necessità di allegare e produrre nulla in giudizio, mentre la Pubblica Amministrazione dovrà provare e motivare che tali provvedimenti sono stati adottati per motivi estranei alla segnalazione.

Siffatta scelta si pone, come illustrato dall’ANAC, in linea di continuità con le best practices adottate da molti paesi dell’area OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), tuttavia, pur essendo la finalità della norma quella di favorire l’emersione delle condotte illecite nell’ambiente di lavoro e di dare concreta attuazione alla tendenza a radicare una “coscienza sociale” all’interno dei luoghi di lavoro, la scelta del legislatore sembra molto sbilanciata sul lato probatorio poiché il giudice non potrà rigettare il ricorso del whistleblower per difetto di prove e di conseguenza il peso della prova contraria graverà esclusivamente sul datore di lavoro.

Avv. Federica Spuri Nisi